Sfide, impegni futuri e strategie: una panoramica a tutto campo quella che disegna, in questa intervista in esclusiva per il nostro periodico, Fabrizio Curcio, nuovo Capo del Dipartimento della Protezione Civile Nazionale Italiana, ingegnere, ricchissimo curriculum professionale con numerose specializzazioni e lunghissima esperienza maturata nella protezione civile.
Dottor Curcio, lei ricopre questo incarico da pochi mesi. Ci può indicare in quale modo ridisegnerebbe il settore della Protezione Civile rispetto alla lunghissima esperienza che ormai ha acquisito?
Sulla via della continuità, otto anni all’interno del Dipartimento della Protezione Civile mi mettono nella condizione di grande vantaggio, di conoscere il percorso – lineare e trasparente – fatto finora dal Servizio Nazionale della Protezione Civile, oltre che dallo stesso Dipartimento. Eredito un’agenda di impegni precisi, ma anche la responsabilità di proseguire in quella direzione, mettendoci nuovo impulso e nuova forza.
Certo è che all’interno del Sistema si avverte con forza la necessità di una revisione complessiva del Servizio Nazionale e delle norme che ne fissano gli obiettivi e le logiche di funzionamento, cosa che ci ha portato a impegnarci con convinzione nel sostenere l’opportunità e l’importanza della legge delega per la riforma del Servizio Nazionale di Protezione Civile, attualmente in discussione alla Camera. È l’occasione per Governo e Parlamento di tirare un bilancio realistico delle esperienze della nostra Protezione Civile e, su questa base, tracciare le linee di una riforma coerente, che abbia ben chiari gli obiettivi, le condizioni, le risorse umane e finanziarie necessarie per raggiungere ciò che si intende realizzare. In sintesi, è l’occasione giusta per dirci tutti quanti, a livello di Paese, quale “Protezione civile” vogliamo e possiamo avere.
Entriamo nel dettaglio…
Se c’è una caratteristica su cui bisogna incidere è quella delle grandi disomogeneità tra un territorio e l’altro:non possiamo più accettare – perché ne va dell’efficienza del sistema – che una Regione si concentri su un singolo rischio tralasciando gli altri, che ci siano inadeguatezze e grandi disparità normative spesso contraddittorie, difficoltà di coordinamento anche in emergenze relativamente “ordinarie”, livelli di preparazione con salti vertiginosi da un comune a quello accanto, dotazioni economiche, di personale e di competenze tecniche non comparabili, esperienze e capacità operative spesso assenti o non verificate.
La normativa di protezione civile oggi vigente – disallineata, secondo me, rispetto a molte esigenze attuali e, soprattutto, alle grandi aspettative con cui quotidianamente ci confrontiamo – è frutto di numerose successive modifiche occorse negli ultimi anni, modifiche che non hanno perfettamente seguito le richieste del territorio, delle Regioni e soprattutto le attese dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Questa riforma è un’occasione per riallineare il sistema di protezione civile con le sue possibilità, con quello che potrebbe fare per essere all’altezza delle aspettative che la comunità nazionale, e internazionale, vi ripone.
Ad oggi quali sono gli obiettivi fondamentali che si trova a dover affrontare?
Le priorità sono le stesse di qualche mese fa, quando nel Dipartimento svolgevo il ruolo di direttore dell’Ufficio Gestione delle Emergenze: la pianificazione di protezione civile, la crescita del Sistema, la sensibilizzazione affinché ci sia un impegno serio per la mitigazione dei rischi sui territori, l’individuazione delle risorse necessarie per fare fronte sia al funzionamento e al miglioramento del lavoro del Dipartimento sia per fronteggiare le emergenze aperte e quelle che verranno. Per quantificare quest’ultimo punto, basterebbe ricordare il numero degli stati di emergenza deliberati dal Consiglio dei Ministri negli ultimi due anni: dal 1° maggio 2013 abbiamo avuto 52 stati di emergenza nazionali, di cui più di venti ancora in vigore. Situazioni che hanno impegnato il Governo per 500 milioni di euro solo per coprire i costi delle primissime fasi dell’emergenza; per il ristoro dei danni, quantificato in alcuni miliardi di euro, non sono state trovate, almeno finora, le necessarie risorse.
A suo parere qual è la prima delle battaglie che il Paese dovrebbe vincere?
C’è forse la sfida più importante, quella che, se vinta, potrebbe fare compiere un grande balzo in avanti al nostro Paese, in termini di maturità: la consapevolezza del rischio, la crescita di una vera cultura della prevenzione. L’Italia è un Paese geologicamente giovane nel quale, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, si è costruito anche laddove le fragilità strutturali erano evidenti: è fondamentale che tutti – dai singoli cittadini alla classe politica – ne prendano coscienza, per affrontare in modo serio e consapevole i rischi che ci coinvolgono. Perché nel 2015 è terribile registrare ancora vittime legate a comportamenti imprudenti: le morti in un sottopasso allagato o sulle sponde di un fiume in piena sono inaccettabili. In diverse occasioni, nelle quali l’evoluzione improvvisa e imprevista di un evento non consente alle autorità competenti di intervenire preventivamente, non è pensabile attendere che qualcuno venga a dirti cosa fare: è invece indispensabile che tu sappia – da prima – quali comportamenti mettere in atto. Ecco, questo noi lo potremo pretendere dai cittadini se, come istituzioni, avremo fatto il nostro dovere mettendo a disposizione tutti gli strumenti per informarsi e capire quali comportamenti adottare. Da qui discende la necessità di investire in consapevolezza, in capacità di autoprotezione, e questo è un lavoro che va fatto prima di tutto sui territori, negli oltre ottomila Comuni italiani, contestualizzando i singoli rischi nella quotidianità dei cittadini, dando loro tutte le conoscenze e gli strumenti per poterli mitigare.
Veniamo alla strategia della pianificazione…
Si, è l’altro obiettivo di grande respiro. La gestione di un’emergenza deve necessariamente partire “in tempo di pace”, con un’efficace pianificazione delle azioni da mettere in atto – così come durante la gestione operativa occorre avere ben presenti gli obiettivi in termini di sostenibilità per la fase post-emergenza. Dalle disponibilità economiche derivano decisioni sostenibili.
Una seria, aggiornata e testata pianificazione a monte significa conoscere il territorio, analizzarlo identificando i possibili scenari di evento, recuperarne la memoria storica rispetto alle calamità che si sono verificate nel passato e alla capacità delle comunità di fronteggiarle (la cosiddetta resilienza); significa, per chi ha la responsabilità ai vari livelli della gestione dell’emergenza, attivarsi in tempo di pace, confrontarsi e coordinare componenti e strutture, per essere certi, nel momento di crisi, di parlare tutti la stessa lingua, di operare in modo armonico.
Il Sistema di Protezione Civile è una delle eccellenze del nostro Paese, apprezzata e indicata come un modello in tutto il mondo. Curcio, ci può illustrare qualcuno dei vostri impegni sul piano internazionale?
Penso all’intervento più recente, quello dello scorso Aprile in Nepal, dove come Protezione civile italiana siamo intervenuti all’indomani del terribile terremoto inviando un ospedale da campo e una task-force di assistenza sanitaria e di supporto tecnico-operativo, nell’ambito del Meccanismo di Protezione Civile Europeo. Si è trattato del primo intervento “sul campo” che mi sono trovato a gestire nella nuova veste di Capo del Dipartimento, e posso dire che è una grande soddisfazione vedere l’impegno che il sistema di protezione civile italiano è sempre pronto a mettere in campo per contribuire, con la comunità internazionale, ad alleviare, per quanto possibile, le condizioni di disagio delle popolazioni colpite da una tragica calamità.
La missione è stata orientata all’intervento medico-sanitario per due ordini di motivi: uno legato alla distanza tra Italia e Nepal, il secondo alle prime notizie arrivate dal territorio che evidenziavano il problema per numerose località isolate e non raggiunte dai soccorsi, elementi che ci hanno fatto ritenere questa conformazione la più utile per garantire un effettivo supporto alle autorità locali e dare la migliore assistenza possibile alle popolazioni colpite. Trascorse le prime decisive settimane, il personale italiano è rientrato mentre la struttura ambulatoriale del Posto Medico Avanzato e parte delle strumentazioni sono state donate dall’Italia all’Ospedale distrettuale di Trishuli, gravemente danneggiato dal sisma. Oltre alla struttura sanitaria, sono state donate le 12 tende a quattro archi che hanno sostituito i locali di alcune scuole distrutte o dichiarate non agibili dai nostri Vigili del Fuoco nel distretto di Rasuwa. Il tutto avvenuto in stretto collegamento con Il Ministero degli Affari esteri che ci ha supportato in questo percorso.
Siete chiamati a risolvere i problemi più estremi; avere recuperato il Costa Concordia – esempio di ottima efficienza operativa tutta italiana – è stata una delle operazioni più brillanti che avete portato avanti: quali sono stati gli ostacoli più importanti che avete dovuto superare?
Si è trattato di un’emergenza particolarissima, per molti versi senza precedenti, che credo abbia però dimostrato una volta di più il valore aggiunto del modello di protezione civile italiano. Il lavoro svolto a Isola del Giglio ha confermato da una parte l’efficienza di una risposta emergenziale ormai consolidata e, dall’altro, ha evidenziato la profonda flessibilità del sistema di protezione civile, capace di modularsi su un’emergenza per la quale non esisteva pianificazione ad hoc, articolando in maniera coordinata il lavoro di un numero elevato di operatori specializzati, dei centri di ricerca, delle istituzioni coinvolte e, non da ultimo, del privato che aveva la responsabilità delle attività da porre in essere per allontanare la Concordia dall’isola.
Questo valore aggiunto in termini di flessibilità credo risieda in particolare nel ruolo di coordinamento che spetta al Dipartimento della Protezione civile incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Al Giglio, in uno spazio circoscritto come il porto dell’isola, questo coordinamento ha consentito a centinaia di soccorritori appartenenti alle diverse articolazioni specialistiche del sistema nazionale della protezione civile, ognuno con preparazioni e tecniche di intervento differenti da quelle dagli altri, di lavorare fianco a fianco, anche con gli operatori privati, avendo come unico obiettivo l’interesse pubblico, la salvaguardia dell’ambiente e la risoluzione nel più breve tempo possibile e nel migliore dei modi della situazione emergenziale.
ROMA 02/09/2015
SABRINA TROMBETTI